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Storia di una zanzara che odiava il mondo (Cap 4)

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E fu così che passò anche la mia adolescenza. Tra fughe rocambolesche, minacce e ricatti, risarcimenti a oggetti e persone, fu un miracolo che la mia casa fosse ancora in piedi. E anche la mia famiglia. Ma rimaneva da superare un ultimo ostacolo: l'università.
Da un po' di tempo avevo notato che sfogarmi su un misero foglio di carta riempiendolo di insulti invece che ripeterli al diretto destinatario avrebbe comportato molti vantaggi, tra cui il portafoglio dei miei cari genitori. Ma questi sono solo meri dettagli.
La cosa pazzesca fu constatare che sul quel semplice foglietto tutte le parole che avrei voluto gridare al mondo uscivano con una facilità incredibile. Soprattutto nessun agente di polizia ti avrebbe sbattuto dietro una scrivania blaterando su cosa fosse un'aggressione verbale. Insomma, capii che quella era la mia strada: se la voce non funzionava, certamente quelle semplici frasi d'inchiostro avrebbero fatto breccia nel cuore delle persone.
Evidentemente, non poteva andare tutto liscio. Incontrai L'INSORMONTABILE MURO DELLA LOGICA DEL PROFITTO DEL VENTUNESIMO SECOLO.

Emh, volevo dire: il mio caro papino non voleva lasciar andar la propria figlioletta verso i sterminati campi della letteratura, rifiutava di lasciarla fluttuare tra le pagine antiche dei grandi scrittori di tutto il mondo, negava alla leggiadra fanciulla di bearsi delle parole dei magnifici artisti che sono arrivate fino a noi da tempi antichi!
Il perché di tutto questo? Ecco, secondo l'egregio genitore, come mi sarei ritrovata non appena avrei terminato l'università: una povera mendicante, stesa in un cartone sotto qualche ponte, a mendicare per un pezzo di pane in cambio di una poesia improvvisata per il compleanno di qualche nonna ricordata all'ultimo momento. Confortante.
Seguì dunque l'Inferno. Le pene descritte da Dante? Tsk, bazzecole rispetto a ciò che successe in casa mia.
Alla fine, io e papà giungemmo a un accordo: avrebbe dato la sua benedizione, e soprattutto la grana necessaria, solamente se entro tre mesi avessi prodotto qualcosa di concreto con carta e penna. Avrei voluto ribattere che l'ispirazione non si può comandare, che è frutto del libero pensiero, non della costrizione, è puro linguaggio della mente e della fantasia!
Continuai così una buona mezz'ora. Le sopracciglia alzate di ben un centimetro del mio caro genitore mi convinsero che quel discorso non attaccava. Accettai così l'accordo.
Maledetta logica del profitto.

Con un alto gemito e un moto di stizza, strappai l'ennesimo foglio dal taccuino e, dopo averlo accartocciato, lo gettai dietro di me con rabbia. Una precaria montagnola cartacea rischiava di travolgermi da un momento all'altro. Mi portai le mani tra i capelli e sbattei rumorosamente la testa sulla scrivania.
Perché diavolo il mio cervello si era preso una vacanza proprio in quel momento?? Quando tentavo di buttare giù due righe, la mia mente si trasformava in una grande distesa bianca. Elettroencefalogramma: una linea piatta.
Il mio paparino sembrava godere di questa mia frustrazione: vedevo la sua lucida testa pelata sbucare ogni tanto alle mie spalle. Senza guardarlo, sentivo il suo ghigno che mi bucava la testa.
-Ispirazione zero?-, gracidò.
La matita emise uno scricchiolio allarmante.
-Perché non scrivi la storia della tua vita? Con tutto quello che hai fatto, venderesti mil-
Fu solo la fortuna che impedì che un'edizione integrale dell'opera goldoniana non si sfracellasse sul viso del caro paparino. Questo se la dette a gambe ridacchiando. Un moccioso si sarebbe comportato in maniera più matura.
Con un grugnito, tornai al mio taccuino. Lanciai uno sguardo di sfida alla matita. Ok, bella, cerchiamo di collaborare, non voglio certo darla vinta al pelatone! La fissai intensamente per qualche altro secondo, per poi battere nuovamente la fronte sul legno. Era inutile! Come potevo dare una svegliata alle mie cellule grigie??
Poi, una lampadina si accese tra la ragnatele nella mia testolina. Ehi, dopotutto, l'idea del genitore degenere non era poi così male. Su quale argomento ero meglio informata se non sulla mia vita?
Con una certa titubanza, presi la matita tra le mani e provai timidamente a scribacchiare qualcosa sul bianco del foglio.
Spalancai gli occhi. Ehi, stava funzionando! Le parole sembravano uscire di loro spontanea volontà e il lapis aveva come una vita propria! Non riuscivo a fermarmi, come se la mina fosse attratta inesorabilmente alla superficie cartacea.
Rimasi lì due notti consecutive a scrivere tra urli eccitati, imprecazioni, esclamazioni di giubilo e  grida di liberazione. L'alba del terzo giorno posai la matita e mi accasciai contro lo schienale della sedia, disfatta e distrutta, ma con un sorriso soddisfatto che aleggiava sulle labbra.
Mia madre mi confidò in seguito che durante quelle due notti non aveva avuto il coraggio di entrare nella mia camera. A quanto pare, mai si erano sentiti suoni più fraintendibili. Credo che borbottai qualcosa come la catarsi mistica, la mente perversa dei cinquantenni e tornai a ficcare il naso nell'ultimo numero di Topolino.

Prima di andare, feci qualche telefonata qua e là. Mio padre non sapeva ancora nulla della mia opera. Avevo qualche amico che lavorava in un vicino negozio di tipografia.
Guardai un'ultima volta l'orologio. Era quasi l'ora. Afferrai il borsone con tutti i miei libri, qualche vestito e i soldi per pagare l'università e il primo mese d'affitto di un appartamento in centro. Era stata mamma a sborsare la grana. Ma non capì il motivo per il quale volevo tenere all'oscuro per un po' il papà sul libro. Ridacchiai mentre mi avviavo verso la fermata dell'autobus, a qualche metro da casa mia. Guardai per le stradine del mio quartiere. Guardai sugli zerbini. Sghignazzai. Peccato non poter vedere la faccia di papà! Guardai nuovamente l'orologio. Le otto spaccate: tra poco gli adulti sarebbero andati a lavoro, i bambini a scuola. Arrivò l'autobus. Salii e mi sedetti negli ultimi posti. Girai la testa verso la casa che era stato lo scenario di tante mie avventure. Vidi in quel momento la porta aprirsi e mio padre uscirne pronto per andare a lavoro. Incespicò su qualcosa e per poco non sbatté il naso sull'asfalto. Dopo una serie di imprecazioni, allungò una mano alla ricerca dell'oggetto colpevole. Sorpreso, si ritrovo in mano un libretto. "La storia di una zanzara che odiava il mondo". Fece appena in tempo ad alzare lo sguardo e incontrare il mio.
Mi ricordo perfettamente quel momento. Spalancò la bocca e gli occhi sembrarono voler scappare dai bulbi oculari. Gli sorrisi e gli feci ciao-ciao con la manina. L'autobus partì e io mi girai, cercando una posizione più comoda. Nonostante ci fossero svariati metri e una parete metallica a dividerci, sentii distintamente le imprecazioni del mio caro genitore seguirmi per qualche altro secondo. Ero forse l'unica al mondo ad avere sempre cori d'addio che consistevano in urli e bestemmie? Sorrisi. Forse le altre persone non ce li avevano neanche, i cori d'addio! Comunque, benvenuto mondo!

Fine.
Warning: Italian language!
*
The end.
L'edizione integrale dell'intera opera goldoniana è un mattone. Letteralmente. Spero che nessuno incontri mai una zanzara in preda al blocco dello scrittore.

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